UN VULKAN A ISTANBUL

Balcani!
Il nostro Far East alle porte di casa…
Questo era l’incipit del mio viaggio in bici nel 2016 fino a Belgrado, l’inizio di un progetto triennale.
L’anno scorso ho percorso il tratto da Belgrado a Sofia, con l’intenzione di completare il percorso fino ad Istanbul nel 2018.
Ma della serie non ti basta mai, quest’anno un’idea, mi girava per la testa…”e se andassi da solo fino a Sofia per poi proseguire con i miei amici?” Faccio quattro conti e decido: si può fare!
Ma voglio farlo a modo mio; e così attrezzo la bici da corsa per un giro più lungo del solito: tagliando completo, borse adatte, attrezzatura minimalista e sabato 1 settembre parto.
Mi sono fatto un programma tarato sulle mie forze e sulle ore di luce che in questo periodo scendendo a sud sono ridotte. Conoscendo lo stato delle strade cerco di evitare di viaggiare col buio.

Inizio in perfetto stile Vulkan ed infatti a Senosece inizia a piovere; metto la giacca che toglierò solo dopo due giorni. Le strade slovene sono note ma pedalare nel silenzio e nel verde è sempre piacevole.
La giornata fila via liscia attraverso la bassa Carniola, sfilo Zagabria da sud ed al tramonto sono a Sisak a 286 km da casa.
Stranamente per me, amante viscerale dei civa, sento la necessità di pizza accompagnata ovviamente da un paio di Karlovacko.

La mattina dopo piove ancora e quella che credevo una perfetta pianura in Slavonjia in effetti si rileva una pianura ondulata, poco, ma ondulata.
I segni della guerra di 30 anni fa sono ancora molto evidenti e l’atmosfera che si respira è di rassegnazione.

 

 
Di nuovo, poco dopo il tramonto sono a Vinkovci alle porte della Serbia.

Lunedì dopo 20 km entro in Serbia, e tutto cambia. La strada si trasforma in una patchwork di pezze d’asfalto malamente connesse tra loro, il traffico pesante aumenta decisamente e una brezza decisa spira inevitabilmente in senso contrario al mio; la velocità scende e con essa anche il morale. Sono 100 km difficili fino all’ingresso a Belgrado.
Alle 15.00 sono in città e mi concedo il lusso di un caffè comodamente seduto all’hotel Mosca, nel cuore dello struscio belgradese.
Devo ripartire poiché so che mi aspettano tre salite, non lunghissime, un paio di km l’una, ma decisamente fastidiose per la pendenza.
Alla sera apprezzo finalmente i prezzi balcanici che scendono, infatti per una mezza pensione pago 25€.

Il quarto giorno, faccio conoscenza con altre tipicità serbe: montagne e cani; entrambi soggetti difficili da affrontare con cautela.
Le montagne sono solitarie e probabilmente l’invenzione del tornante non è arrivata fino a qui, per cui spesso le strade salgono per la massima pendenza e chissà perché quasi sempre senza ombra.

 

 
I cani invece si riveleranno una costante da qui ad Istanbul.
Ne ho visti di tutti i tipi; molti indolenti, impauriti, scazzati, ma diversi incazzati neri per i quali un ciclista è probabilmente una vittima perfetta da rincorrere abbaiando a fauci spalancate (alla fine conterò una ventina di attacchi di cui almeno quattro o cinque hanno lasciato un inequivocabile segno marroncino sul fondello delle braghe da bici!!)
Qualcuno dice che la soluzione migliore è di non scappare ma fermarsi e con calma discutere con loro; io ho preferito sempre la fuga e complice il mio angelo custode li ho incontrati sempre sul piano o in discesa; se fosse successo in salita…!

Il quinto giorno, nel quale è previsto l’arrivo a Sofia, si rivelerà il più difficile. Un perfetto mix di stanchezza accumulata, strade sempre più solitarie e malandate ed un dislivello importante fanno si che la meta sia quanto mai agognata. Arrivo oltre il tramonto con le forze al lumicino stanco ma felice.
Domani con il bus arrivano tre miei amici con i quali proseguirò con altri ritmi e stress ridotto.

 

 

Dopo la sosta prevista a Sofia, città tranquilla ed interessante, ripartiamo per scendere piano piano la Bulgaria. I ritmi frenetici dei giorni passati lasciano il posto ad un cicloturismo più tranquillo ma complici un maggior numero di birre giornaliere ed inconvenienti vari, l’arrivo alla meta di giornata avviene sempre alle ultime luci del giorno.
La Bulgaria riserva panorami straordinari, rilassanti con un traffico decisamente ridotto.
La rotta punta verso sud-est con qualche piccola deviazione per ammirare splendidi monasteri e prima dell’ingresso in Turchia la strada ci porta attraverso la Grecia.

 

 

In Grecia enormi piantagioni di cotone fanno da cornice ad una tranquilla strada che ad un certo punto si immerge direttamente in un fiume per un incredibile guado. Il fiume è largo alcune centinaia di metri, il fondo è cementato ma reso viscido da alghe limacciose e la corrente non impetuosa è comunque tale da rendere l’attraversata alquanto adrenalinica.
Solo fuoristrada militari e trattori si arrischiano a passare, mentre noi lo facciamo scalzi a piccoli incerti passi. Venti minuti memorabili…dopo.

 

 
Il confine greco-turco è qualcosa che nell’Europa di oggi non credevo esistesse ancora: pattuglie armate fino ai denti con autoblindo in assetto di guerra si susseguono fino alla linea di demarcazione, per poi riprendere dall’altra parte della riga solo con colori di bandiera diversi.

 

 

Edirne, splendida città con moschee enormi e sfavillanti ci attende appena passati il confine.
Della Turchia in sintesi posso dire: è un enorme toboga su e giù, con salite e discese in successione perpetua; cucina raffinata e variegata con camerieri numerosissimi (ogni bigoncio ne ha almeno un paio) e servizievoli al massimo, cani mediamente più dimessi e tranquilli (ma non tutti…) dei colleghi nord-balcanici, una accoglienza alberghiera alquanto discutibile, ma una grande curiosità per questi quattro strani fenomeni in bici ed un innato senso di ospitalità che non trova paragoni in nessun altro paese balcanico.

 

 

Il tredicesimo giorno di pedalata da Trieste è il giorno finale; solo 60km ci separano da Istanbul. Quella che sembrava una semplice formalità si rivelerà un tappa ostica e difficile.
Dopo 10 km in una superstrada a tre corsie per senso di marcia, veniamo inseguiti da due cani indemoniati che ci costringono ad utilizzare la terza corsia per riuscire a dileguarci, e naturalmente per la più classica delle leggi di Murphy ci fanno perdere l’uscita corretta. Ritornare indietro era ovviamente fuori discussione, e per riprendere la strada giusta decidiamo di percorrere un tratturo che passando per la campagna intercettava la strada persa nella fretta della fuga.
Il tratturo dopo poco, causa le piogge dei giorni precedenti, si trasformava in una morsa di argilla che si incollava alle suole, alle ruote, alle forcelle, a tutto.
L’unica alternativa almeno per le mie ruote stradali con minimo spazio a disposizione tra i foderi è stato quello di caricarmi la bici in spalla e proseguire in una sorta di golgota orizzontale. Sotto il peso della bici penso all’Oracolo che sicuramente sarebbe orgoglioso del mio portage fuori programma.

 

 
All’uscita della melma, una provvidenziale moschea provvista di manichetta dell’acqua, con gentile permesso dei fedeli presenti, ci permetteva di rivedere il colore delle bici.

Ma il meglio di Istanbul doveva ancora venire.
A 40 km dal centro inizia la città.
40 km intrisi di superstrade a sei corsie, traffico immenso, svincoli e attraversamenti a raso in cui la bicicletta non è proprio il mezzo più adatto per affrontarli. Spesso mi passa per la mente la perfetta immagine descritta da Rumiz nel suo viaggio verso Istanbul: larve di zanzara finite in un allevamento di trote!
Grazie al Garmin che cercava di indicarmi la via giusta, alla tutto sommato gentilezza degli autisti turchi per quattro miserabili moscerini, ed al lavoro straordinario dei nostri angeli custodi impegnati allo spasimo, alla fine dopo qualche ora passiamo le mura che portano nel cuore del corno d’oro.
Emozione e contentezza si fondono per la bella storia che si stava concludendo.
Il resto è solo birra turca, sorprendentemente interessante, ed un dolce gironzolare tra moschee, resti romani e donne più o meno velate.

Il ritorno ci riserva l’ultima sorpresa, tenendoci fermi un paio d’ore nel cuore della notte in una anonima stazione ferroviaria di confine per la mancanza di un timbro su di un passaporto, ma finalmente dopo undici ore di treno e sedici di autobus, veniamo scaricati nella stazione di Trieste.

Alla fine sono stati due viaggi in uno: il primo, da solo, un interessante esercizio mentale e fisico mentre il secondo una rilassante immersione nella profondità dei tanto amati balcani.

 

Stefano Travisan (alias Steve Mezzeria)

 

Trieste – Istanbul 1-15 Settembre 2018
1° tappa – Trieste \ Sisak (Hr) km 286 dislivello 2183 m
2° tappa – Sisak \ Vinkovci km 225 dislivello 701 m
3° tappa – Vinkovci \ Smederevo (Srb) km 206 dislivello 874 m
4° tappa – Smederevo \ Zajecar km 175 dislivello 1695 m
5° tappa – Zajecar \ Sofia (Bg) km 219 dislivello 3021m
6° tappa – Sofia \ Panagyurishte km 97 dislivello 1184 m
7° tappa – Panagyurishte \ Plovdiv km 80 dislivello 247 m
8° tappa – Plovdiv \ Haskovo km 109 dislivello 644 m
9° tappa – Haskovo \ Svilengrad km 75 dislivello 587 m
10° tappa – Svilengrad \ Edirne (Tr) km 50 dislivello 247 m
11° tappa – Edirne \ Buyukkaristiran km 113 dislivello 1074 m
12° tappa – Buyukkaristiran \ Subasi km 105 dislivello 982 m
13° tappa – Subasi \ Istanbul km 72 dislivello 1161 m

In totale Istanbul dista da Trieste 1.812 km con un dislivello totale di 14.600 metri.

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